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Action Painting in un cascinale lombardo

Con la traduzione di alcuni saggi sul pittore William Congdon (1912-1998) si è concluso il 2021 di Galactus Traduzioni. Grazie a questo emozionante progetto abbiamo avuto la possibilità di approfondire la conoscenza di un artista americano che ha fatto dell’Italia la sua seconda patria. Ringraziamo Casa Testori per questa opportunità e, in particolare, Davide Dall’Ombra e Giuseppe Frangi dai cui saggi abbiamo estratto le informazioni che leggerete in questa breve presentazione.

William Grosvenor Congdon è nato a Providence, nel Rhode Island nel 1912, la stessa notte in cui affondava il Titanic, coincidenza che è stata fondamentale nella formazione del suo immaginario. La parola che segna fin dall’inizio tutta la parabola artistica di William Congdon: è “ferita”. È la ferita che ha segnato in modo indelebile la sua biografia con l’esperienza della guerra e con la contemporanea scoperta della propria vocazione artistica.

I primi disegni di Congdon, oggi in gran parte dispersi, ma esposti nel 1944 alla Rhode Island School of Design sono presi in diretta sul fronte, e spesso si trattava di teste di morenti. Nel maggio del 1945, in quanto in servizio all’American Field Service, era entrato nel lager di Bergen Belsen appena liberato. Vi aveva trascorso un mese impegnato in un drammatico lavoro di soccorso, documentando anche in questo caso con i disegni quel che aveva davanti agli occhi.

È stata un’esperienza senza ritorno quella vissuta dal Congdon trentenne sul fronte europeo.  Nei suoi Diari confessa l’impossibilità per lui di ripristinare una normalità di vita, tornando in America. Iniziava così un lungo pellegrinaggio per il mondo, richiamato ogni volta dalle situazioni che portavano allo scoperto le sue ferite.

Action Painting: dagli USA alla Lombardia

Anche la scossa dell’Action Painting, con l’idea di una pittura in cui restasse impresso l’impulso gestuale, si era tradotta per Congdon in uno sguardo sulla New York terremotata dalla miseria, quella della Bowery. I lunghi soggiorni italiani, fin dagli anni ’50 suo paese d’adozione, sono sì segnati dall’incanto della bellezza delle città storiche, Venezia in primis, ma Congdon immette nelle vedute dei palazzi, delle piazze e dei monumenti un’energia terremotante. I palazzi sul Canal Grande sembrano sconvolti da un vento che li percuote, il Colosseo con la cavea che precipita in un vortice buio, sembra precipitare su se stesso. Si riconosce il filo rosso di un’implacabile inquietudine in questi anni di Congdon. È l’inquietudine che lo porta a esplorare le frontiere del mondo, dall’India all’Africa, a partecipare con la sua pittura allo spasimo di quelle terre. Come lui confessa nei suoi Diari quei mondi gli appartengono perché vi ritrova una assoluta mancanza dell’“ego”, che invece è egemone in Occidente e in particolare nella sua America.

Ma è soprattutto con l’approdo finale nell’ottobre 1979, nella casa studio nella “bassa milanese” che l’arte di Congdon si apre ad una nuova visione.

Il silenzio dei campi e del contiguo monastero Benedettino diventa un punto di ripartenza. Il disegno dei campi suggerisce nuove visioni e nuove soluzioni formali.  Congdon dispone la sua pittura in un atteggiamento di attesa, come se le tele fossero terreno fertile per un miracolo che sta per rinnovarsi e accadere, proprio come avviene ogni primavera per la natura. L’antica ferita alla fine diventa apertura da cui filtra una luce, ogni volta nuova.

Qui resta per tutti gli ultimi anni della sua vita, fino alla morte, avvenuta il 15 aprile 1998.

Fino al 27 marzo 2022 è possibile visitare la mostra William Congdon. 30 dipinti dalla William G. Congdon Foundation presso Palazzo Bisaccioni a Jesi (AN).